Nella Roma Antica si utilizzavano spettacoli e attività ludiche di massa per distogliere l’attenzione dei cittadini dalle attività politiche delle élite: panem et circenses appunto. Un’espressione giunta fino a noi in un’accezione negativa che si è nel tempo fortemente radicata e che ancora oggi è sinonimo di quella consuetudine antica: distogliere l’attenzione delle masse dalla vita politica del proprio Paese, dando loro spettacoli cruenti e spesso sanguinari, così che quei pochi eletti potessero continuare a curare i propri interessi, garantendo allo stesso tempo un’apparente legalità.
È esattamente quello che è accaduto sabato sera allo Stadio Olimpico di Roma e che continua ad accadere in verità da decenni ormai in tutti gli stadi del Paese: le città diventano ostaggio di facinorosi e violenti. Gruppi di persone che è offensivo definire tifosi prendono d’assalto le strade che conducono all’arena portando con sé tutto quello che incontrano per strada, proprio come avveniva con le falangi romane quando prima di sottomettere il nemico lo terrorizzavano, lo violentavano e lo prendevano in ostaggio.
Il calcio in Italia non è più uno sport da decenni. Gli interessi che gli ruotano attorno e la violenza che in esso è sapientemente convogliata lo rendono una panacea perfetta per uno Stato che, anche sabato sera, ha dimostrato la propria impotenza. Le massime autorità presenti, sotto gli occhi dei più alti funzionari e rappresentanti Istituzionali Nazionali, si sono chinati e piegati alla folle volontà di un capobranco: proni alle decisioni di un soggetto ambiguo e con l’atteggiamento camorrista, con l’unica preoccupazione di non scontentare la sua tribù.
Questo timore di una reazione violenta del branco, in caso si fosse annullato l’incontro, si è impossessata degli stessi cronisti e giornalisti Rai, correi di non aver condannato in maniera netta e incontrovertibile quello che era e che stava accadendo. I rappresentanti della tv pubblica ci sono venuti a raccontare la favola dell’evento esterno al mondo del calcio, ci hanno propinato l’idea folle che fosse assolutamente necessario giocare l’incontro, hanno vergognosamente e colpevolmente taciuto quando tutto lo stadio ha fischiato l’inno nazionale. In questo modo rendendosi complici di un atto indegno di un Paese civile.
Show must go on: in nome dei soldi, della violenza, degli interessi privati di pochi, della legge del branco. E lo Stato non assente, bensì presente impotente. La partita andava annullata, i violenti arrestati e puniti in maniera esemplare, i loro atti perseguiti. In Inghilterra o negli Stati Uniti avrebbero usato il pugno di ferro e li avrebbero annichiliti. Noi ci siamo andati a parlare, gli abbiamo chiesto il permesso. Abbiamo atteso il via libera da un soggetto che già solo con la maglietta che indossava meritava di essere espulso per sempre dagli stadi italiani. Daspo a vita.
E invece abbiamo continuato a ripetere che il calcio non c’entrava, che l’episodio era isolato ed esterno. Infatti le persone coinvolte appartengono alla più alta società civile: un gruppo di violenti ultras napoletani (gli stessi che probabilmente misero a ferro e fuoco la Stazione Termini nel 2008) e un capo ultras della Roma, lo stesso che nel 2004 ordinò a Francesco Totti di annullare la partita. Si tratta insomma di veri galantuomini, per chi non se ne fosse accorto.
C’è chi ancora oggi ha il coraggio di urlare di farla finita con la condanna pubblica di questi episodi accampando una strana idea di modernità e civiltà: MA CHE VOLETE..?!? NON È SUCCESSO NIENTE, È SEMPRE STATO COSÌ!
E forse è questo il problema vero: è sempre stato così e nessuno ha mai fatto veramente qualcosa. È un carrozzone troppo potente da fermare. Capo del Governo, Presidenti e funzionari, tutti aspettavano solo il fischio di inizio: seppellire tutto nell’orda inarrestabile della violenza imposta e irrefrenabile, iniziare il prima possibile, mettendo così tutto a tacere e lasciando al popolo quelle tre, millenarie parole : panem et circenses.
Perché le autorità non hanno imposto la presenza dello Stato? Perché il Presidente del Consiglio non ha abbandonato simbolicamente lo Stadio, dando un segno forte del suo dissenso?!?
Vorrei solo ricordare agli ipocriti detrattori, sempre attivi e presenti nel nostro Paese, a coloro che si tengono stretto al petto il proprio giocattolo e che ancora oggi inveiscono contro chi protesta e chi condanna, vorrei ricordare loro che io sabato sera ero uno dei milioni di italiani che aveva SCELTO DI NON GUARDARE la Finale di Coppa Italia, ma che se l’è ritrovata davanti nonostante tutto, nei telegiornali che a reti unificate trasmettevano la guerriglia urbana di una città già ferita, di un Paese straziato già da tanti problemi. Non è più accettabile dire a noi di non guardare! Qui il calcio non c’entra nulla. Sono loro, semmai, che non vogliono VEDERE!
Vorrei ricordare a queste persone che mentre a Roma, nei pressi dello Stadio Olimpico, si sparavano colpi di pistola per strada per imporre il proprio dominio sul branco nemico, nelle Marche e a Senigallia si moriva a causa del maltempo, senza che giornali e televisioni riuscissero ad occuparsene, preoccupate di capire chi fossero quei delinquenti che tenevano in ostaggio un Paese intero. La partita alla fine si è giocata, ma alla parte più seria e civile dell’Italia non interessava più quello scempio. Rimaneva solo l’amarezza per l’ennesima umiliazione internazionale, con gli occhi del mondo che ancora una volta ci osservavano increduli e sconcertati.
La Finale di Coppa Italia non è stata vinta da nessuno: abbiamo perso tutti molto prima che iniziasse.