attualità/Italia

Non è un Paese per giovani

Lavoro è vita, e senza quello esiste solo paura e insicurezza (John Lennon)

Da mesi in Italia si parla incessantemente della riforma del lavoro e dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori. In tutti i giornali, nei talk televisivi, nelle aule istituzionali e nelle rappresentanze sindacali di tutto il Paese sembra che la discussione attorno a questo punto abbia accentrato tutte le attenzioni e le energie politiche nazionali, nonostante la gravissima crisi che continua ad imperversare in Italia.

In un clima del genere si fatica a capire dove stia la verità, o quantomeno la scelta migliore per l’interesse di tutti. Analizzando le richieste e le istanze delle varie fazioni contrapposte sembra che ognuna, a suo modo, abbia delle valide ragioni per sostenere l’assoluta intangibilità dell’art. 18 o la sua totale inutilità (quando non addirittura dannosità). In questa caotica e animata discussione in molti sembrano voler rimanere incatenati a valori indubbiamente importanti, senz’altro carichi di simboli sociali e politici: le lotte sindacali dei decenni passati, le dure battaglie portate avanti dalle generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, i diritti conquistati con fatica e qualche volta con sofferenza o con la vita stessa.

Ma in troppi sembrano non accorgersi di quanto in questi decenni il mondo sia cambiato e stia cambiando ad una velocità alla quale la maggior parte delle istituzioni – e con esse delle rappresentanze politiche e dei lavoratori – non sono riuscite e non riescono ad adeguarsi, rimanendo gravemente attardate e inadatte alle nuove sfide e alle nuove realtà.

Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, simbolo delle lotte dei lavoratori nel XX secolo

Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, rappresentazione del proletariato e simbolo delle lotte dei lavoratori nel XX secolo

Il mondo è cambiato. Il lavoro è cambiato. Il Quarto Stato non esiste più. E chi si ostina a declinare la discussione politica e sociale avendo a mente soltanto le lotte di un tempo e non la realtà odierna è destinato a fallire, allontanandosi in questo modo dal sentire comune e dalla pragmatica situazione attuale. Ai giovani (troppo spesso confinati anche nei sondaggi alla sola fascia di età dei ventenni) non è consentito il lusso delle lotte di principio, delle discussioni sui valori di un tempo, che non solo a volte non conoscono, ma più spesso non capiscono. Ai ragazzi che vanno dai 25 ai 35 anni è stata strappata la terra da sotto i piedi e milioni di questi giovani hanno perduto ogni punto di riferimento. Per loro l’art. 18 non solo non esiste ma addirittura non serve. Si tratta per lo più di un simbolo obsoleto, valido per chi li ha preceduti, ma non per loro.

Ai giovani di questa fascia intermedia e troppo spesso disperata non è concesso il lusso di una tutela come l’art. 18 ha rappresentato per molti dei loro genitori: essi non ci arriveranno mai ad aver bisogno di una simile garanzia in quanto nella gran parte dei casi non avranno nemmeno un contratto. Oggi chi ha 30 anni si trova a dover lottare per uno stipendio misero e spesso in nero; per uno stage che maschera un’aspettativa lavorativa ma che quasi sempre si limita a rimanere stage, con tanti saluti e auguri di buona fortuna. I ragazzi di oggi si trovano a lottare per un lavoro molto al di sotto delle loro aspettative (quasi tutti hanno studiato e si sono laureati), sottopagato e sottostimato: e lo fanno per non perdere quel minimo di dignità che ancora gli rimane, quella che fa sentire una persona utile a qualcosa, parte di una comunità.

Il precario nel lavoro è in precario equilibrio anche nella vita

Il precario nel lavoro è in precario equilibrio anche nella vita

Provassero i politici, i sindacalisti e tutti coloro che oggi fanno una battaglia serrata sull’art. 18 a parlare con alcuni di questi ragazzi che ogni giorno inviano curriculum online – senza risposte! – si sbattono per strada, porta a porta a chiedere un impiego anche minimo pur di dare il proprio contributo e avere in cambio la sensazione di far parte di una società che li accoglie, anziché escluderli; provassero a chiedergli cosa si prova a dover elemosinare un contratto di un mese, o di una settimana o addirittura di 3 giorni. A molti di loro vengono fatte firmare in nero le dimissioni in bianco, prima ancora di iniziare il rapporto di lavoro! Così, tanto per mettere in chiaro i rapporti di forza, e non avere poi nulla da reclamare una volta perduto l’impiego. Pensate che a questi migliaia di lavoratori serva a qualcosa l’art. 18..?!? Perché oggi è così che si trattano le persone: la intricatissima e assurda legislazione italiana in tema di lavoro fornisce alle aziende e ai datori di lavoro in genere tutte le armi per tenere in pugno i lavoratori, sotto la minaccia di un misero contratto, di un piccolo rinnovo, di quel poco di ossigeno in più che permette di respirare ancora qualche giorno. Perché se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, certamente il precariato lo umilia.

Per questi ragazzi, per queste persone che solo a stento si possono chiamare lavoratori, le tutele post non esistono, perché non esiste un lavoro cui applicarle. Come faccio ad essere licenziato ingiustamente se non vengo nemmeno assunto..?!?

Non si tratta più di essere eventualmente discriminati dopo, ma prima! Chi non ha un lavoro, un contratto, una busta paga non può perderli, perché non li ha mai avuti. E come possono questi ragazzi, queste persone, costruirsi un futuro, una famiglia..?!? Possono forse chiedere un mutuo con un contratto a progetto..?? O magari con un diploma di stage..?? O forse con un misero stipendio pagato in nero, in contanti, come fossero soldi non dovuti, da tenere nascosti pena la perdita magari anche di questo assurdo “privilegio”? Chi ha un lavoro precario avrà anche una vita precaria… Così come chi non ha un vero lavoro faticherà a costruirsi una vita vera. Non dare un futuro ai giovani di oggi significa non dare un futuro all’Italia di domani.

La difficile condizione dei lavoratori precari nella vignetta di Zarathustra

La difficile condizione dei lavoratori precari italiani nella vignetta di Zarathustra

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