attualità/Italia

Il canto delle cicale

È chiaro che serve la tratta veloce, ma se vuoi capire il paese dove vivi, cerca il ferro 50, cerca i finestrini apribili, guarda le stazioni impresenziate, parla con le persone che stanno lì sopra. | Marco Paolini, Binario illegale

Nel mio immaginario, fin da ragazzino, il rumore del treno era quello musicale e onomatopeico canticchiato da Marco Paolini nel suo straordinario spettacolo Binario illegale. 

Un ritmo incalzante, ferro su ferro, che conduceva lo spettatore alla scoperta dell’Italia reale, dell’Italia comune, dell’Italia normale. Nel corso della mia vita sono salito su moltissimi treni, regionali e diretti soprattutto, e ogni volta che salivo e mi sedevo mi tornava in mente quella cantilena, quell’intercalare meccanico di un treno che, lasciando la stazione, prende velocità e si muove, accelera, corre…dodes coden, dodes coden, dodes coden…e va, verso la fermata successiva, senza sosta.

incidente ferroviario in Puglia

(Foto Ansa | Vigili del fuoco)

Mi ripetevo in testa quel ritmo metallico, ferro su ferro, di un mondo lontano che viaggia ancora allo stesso modo di allora, stazione dopo stazione, paese dopo paese, città dopo città, ferro su ferro. Prendevo ritmo insieme al treno e mentre acquistavamo velocità, mano nella mano, guardavo fuori lo scorrere della vita.
Ho sempre scelto il posto vicino al finestrino, perché in treno ho sempre amato osservare lo scorrere del tempo, il succedersi delle stagioni, il mutare del paesaggio. Guardare fuori mi ha sempre fatto sognare, mi ha sempre fatto riflettere sulla vita, sul nostro viaggio più lungo e più incerto. Chi ci guarda da fuori ci vede passare proprio come noi vediamo passare i giorni, gli anni, gli eventi, veloci e inarrestabili. Ma dal treno noi non percepiamo il nostro movimento, se non in relazione a quello che si muove di fuori, di là dal vetro, quasi come se fosse il mondo a muoversi intorno a noi.

Mio babbo mi diceva sempre di non salire mai sui vagoni di testa e di coda, perché se succede qualcosa sono i primi a pagarne le conseguenze; all’inizio ci facevo attenzione, seguivo questo principio tanto semplice quando razionale. Poi col tempo ho smesso: per abitudine, forse; per fiducia, anche; per noncuranza, a volte; per impossibilità, in certe situazioni. Sali, e speri che non succeda nulla. Tutto qui. Non ci pensi, ma sei nelle mani di un altro; gli affidi la tua vita, tutto qui. Lo sai, ma non ci pensi, non vuoi pensarci. Guardi fuori dal finestrino e sogni, pensi, sorridi, parli al telefono, leggi un libro, ascolti musica, ti addormenti distrutto dopo una lunga giornata di lavoro.

In treno c’è la vita, una vita intera; c’è un Paese intero, un Paese che è sempre in viaggio, da nord a sud, a nord, a sud. Ogni giorno, ogni minuto, nell’Italia reale, nell’Italia normale, migliaia di persone viaggiano su un binario unico, ferro su ferro.

Ricordo l’assordante frinire delle cicale, nelle sere d’estate, fermo sulla banchina di una qualsiasi piccola stazione dell’Italia reale, dell’Italia normale: un canto dolce e violento allo stesso tempo, colonna sonora di un viaggiare perpetuo.

Sul disastro di ieri è stato detto tanto, scritto molto; credo che ogni italiano dovrebbe essere sconvolto, col cuore dilaniato dal dolore per quello che è accaduto. La cosa che mi ha colpito di più è stata la stridente contrapposizione tra le immagini di quei vagoni fusi gli uni con gli altri con la bellezza di quegli ulivi secolari, imperturbabili dalla disgrazia umana; ma ancor più mi ha colpito, nel guardare, vedere e ascoltare le immagini, sentire quel canto assordante, quell’altrettanto imperturbabile canto delle cicale, mentre tutt’intorno era la morte.

Perché mi hanno colpito così tanto queste due immagini? Perché quel treno lo abbiamo preso tutti, lo abbiamo aspettato tutti. Lo prendiamo ogni giorno, in migliaia di stazioni diverse e lontane. Su quel treno c’eravamo anche noi, noi che presto ci dimenticheremo di quello che è accaduto, perché troppo drammatico, troppo tragico. Noi ce ne dimenticheremo, ma chi quegli ulivi li ha visti passare fuori dal finestrino non se ne dimenticherà mai.

Torneremo tutti a salire su quel treno, perché ci siamo costretti, è la vita che avanza, perché ci serve, ne abbiamo bisogno, perché è così che va, semplicemente. Fino a quando ci ritroveremo ad aspettare un treno in qualche stazione dell’Italia reale, dell’Italia normale, e nel silenzio dell’attesa tutt’intorno si alzerà, assordante, il canto imperturbabile delle cicale.

Sarà lì che penseremo a loro, a quelli di noi che su quel treno c’erano, treno a binario unico, ferro su ferro.

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