Riascoltare oggi Genova per noi cantata da Paolo Conte fa venire i brividi. Perché oggi non ci chiediamo più “se quel posto dove andiamo non c’inghiotte, e non torniamo più”. Oggi quel posto ha inghiottito un pezzo d’Italia, portando con sé decine di persone come noi, di cui oggi dobbiamo davvero sentirci un po’ parenti, come dice la canzone; o forse soprattutto un po’ fratelli, come dice il nostro cuore.
Chi glielo spiega, adesso, a quelle famiglie? Chi glielo dice, adesso, che quei figli, quei genitori, quelle sorelle, quei nipoti e quei nonni, quegli amici, non faranno più ritorno? Chi glielo dice a quelle oltre 600 persone che vivono lì sotto che, molto probabilmente, dovranno lasciare subito le proprie case, dato il forte rischio che anche quella parte di ponte rimasta in bilico possa crollare sopra le loro teste, così sospesa come un sinistro ammonimento?
Molti di noi oggi avranno già altro a cui pensare, distratti da un Ferragosto mai così triste. “Buon Ferragosto” si vede di continuo sugli schermi dei telefoni, auguri che giungono per telefono e dei quali non si comprende la ragione. Buon Ferragosto? Per che cosa?
Io oggi non riesco proprio a non pensare a Genova. Non riesco a smettere di pensare a quelle vite spezzate, a quelle storie come la mia, così normali e semplici, storie di persone che senza un motivo se ne sono andate per sempre, mentre erano in viaggio come tutti noi verso il loro Ferragosto, verso le loro le vacanze estive tanto attese, verso il loro meritato riposo. Persone, anche, che stavano tornando dal lavoro, nonostante le ferie altrui, in coda verso un destino insopportabilmente ingiusto.
Guardo quel camion fermo sul ciglio del precipizio e mi chiedo cosa ci sia di diverso tra lui, a un passo dal baratro, e le decine di mezzi inghiottiti nel nulla, pochi metri più avanti. Un semaforo rosso in più, prima di entrare in autostrada? Il biglietto di ingresso al casello troppo lontano per essere afferrato al primo tentativo? Una telefonata ricevuta prima di salire in auto? Quanti secondi di differenza passano tra la vita e la morte?
Si sentono così tante cose ignobili in queste ore, così tante idiozie… Non c’è più rispetto per niente e per nessuno, nemmeno per i morti; non c’è più decenza. Stamattina eravamo tutti ingegneri. Domani saremo tutti magistrati. Fra due giorni saremo tutti ministri e fra tre giorni di certo saremo tutti, semplicemente, degli smemorati, inghiottiti dall’estate e dalle chiacchiere da bar. Eppure quel vuoto, quella voragine davanti a quel camion, quelle auto schiacciate e accartocciate sul fondo del baratro gridano giustizia. E la gridano a noi, che non possiamo più girarci dall’altra parte.
Quando fra qualche giorno torneremo verso le nostre case, percorrendo le nostre strade piene di ponti e di viadotti, chiediamoci che differenza passi tra noi e chi, ieri sera, era in coda verso il nulla. Ogni volta che passeremo sotto un cavalcavia o sopra un ponte chiediamoci se abbiamo fatto abbastanza, chiediamoci se abbiamo preteso abbastanza da chi dovrebbe garantire la sicurezza delle nostre strade. Chiediamoci se ci siamo indignati abbastanza. Ma non giriamoci ancora dall’altra parte, non facciamo finta di non vedere le crepe su quei ponti che ci passano sopra la testa. E soprattutto non crediamo a chi, per un pugno di voti, ci vuol far credere che quelle non sono crepe, che quelli non sono i segni del tempo e dell’incuria.
Non crediamo più a chi ci propina ogni giorno facili ricette per risolvere i problemi di questo Paese. Perché i problemi sono complessi e per risolverli servono soluzioni reali, oneste, spesso dure, soluzioni che richiedono sacrifici anche pesanti, sacrifici di cui non vogliamo mai farci carico e che puntualmente ci vengono poi a presentare il conto in termini di vite umane. Se non capiamo questo non solo diventiamo complici, ma anche colpevoli, alla stregua di quelli verso cui puntiamo il dito.
A me piaceva attraversare il Morandi, mi dava l’impressione di grandezza! Grandezza che cade e uccide. Grandezza solo esteriore e invece dentro era debole. Il Morandi è caduto e oltre alle vite si porta via l’ultimo barlume di buon senso alimentando polemiche e rabbia. Giorni fragili viviamo.
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